Queste vendite sono già concluse, ci dispiace tu le abbia perse. Però non ti preoccupare, scrivici una email a info@oenope.com indicando i vini che vorresti acquisire e procediamo tempestivamente all’emissione del tuo ordine in modo semplicissimo.

DOMAINE DE BABAN – CÔTES DU RHÔNE CHATEAUNEUF DU PAPE
QUANDO L’ABITO FA IL MONACO
Le apparenze a volte non ingannano. A Châteauneuf-du-Pape la celebre bottiglia marcata dallo stemma delle due chiavi di San Pietro incrociate sormontate da una mitra papale è senz’altro il simbolo della storia e del vino del territorio. Châteauneuf-du-Pape, punta di diamante inserita nella piramide della denominazione base Cotes du Rhone, è anche la prima AOC fondata in Francia.

Furono i Papi che si stabilirono ad Avignone nel XIV secolo a porre sotto i riflettori questo territorio. Giovanni XXII fece costruire sulle alture del paese una possente fortezza che divenne la residenza estiva del papato. Fu così che il vino prodotto in questi luoghi divenne il “Vino del Papa” aprendosi così le porte alle grandi corti europee e molto rapidamente i barili di Châteauneuf-du-Pape arrivarono in Italia, Germania, Gran Bretagna e più tardi negli Stati Uniti.
Nel 1937 l’associazione dei viticoltori titolari della denominazione disegna la “Mitrale”, bottiglia che presenta l’iscrizione “Châteauneuf-du-Pape” in lettere gotiche che circonda l’emblema come garanzia di autenticità e come mezzo di promozione stesso.
Nel frattempo, la comunità intellettuale, personalità quali Mistral, Lamartine, Dumas e Daudet, ne decantavano le qualità fino a dichiararlo “vino reale, imperiale e pontificio”.
Salvador Dali disse “i veri intenditori non bevono vino. Degustano segreti”.
Di segreti si tratta quando descriviamo i rossi e i bianchi di Châteauneuf-du-Pape.
Un disciplinare, non solo su base territoriale, ma anche sulle pratiche da adottare per mantenere e garantire la qualità del vino. I viticoltori si auto-impongono regole di produzione completamente nuove: regolazione dei metodi di coltivazione, fissazione di un grado alcolico minimo, elenco restrittivo dei vitigni autorizzati (fino a 13, 8 rossi e 5 bianchi), cernita obbligatoria alla vendemmia.
Cosa dobbiamo aspettarci da questi Châteauneuf-du-Pape del Domaine de Baban? Certamente vini di corpo e struttura, ma con acidità eccezionalmente alta e tannini setosi, fini, splendidamente densi e concentrati nella struttura. Poi tipiche note di macchia mediterranea, quali erbe aromatiche e persino olive verdi.

DOMAINE WASSLER – RIESLING – AOC ALSACE
Terra di confine
Nella sua ultima intervista, il grande poeta Andrea Zanzotto, di fronte agli effetti di un mondo globalizzato ripeteva : “Ho un solo nipote, troppo piccolo, non posso spiegargli niente. Devo aspettare che capisca per riuscirgli a parlare. O lasciargli un messaggio, solo un biglietto per chiedergli perdono per non avergli lasciato un mondo migliore di quello che è”.
Curioso mix di culture e tradizioni vitivinicole, spesso sottovalutata, ma in grado di dare vini eccellenti, l’Alsazia sembra resistere a questo mito dell’impresa dalla crescita senza fine che la natura non sopporta.

I vini alsaziani devono le proprie caratteristiche, che ne hanno determinato il successo, a tre fattori fondamentali: la tradizione vitivinicola che si tramanda di generazione in generazione, le eccezionali condizioni climatiche e la conformazione dei terreni.
Per quanto riguarda la storia dell’Alsazia, è opportuno sottolineare che le complesse e travagliate vicende storiche, come il fatto che la regione ha cambiato bandiera quattro volte (tra Francia e Germania) fra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, non hanno impedito lo sviluppo di una tradizione viticola che affonda le proprie radici al tempo dei Romani.
La piovosità è assai scarsa (tra le più basse di Francia) e le ore di sole numerose. Ma non solo, sul microclima giocano un ruolo fondamentale i monti Vosgi, che riparano dai venti e dall’umidità provenienti dall’Oceano Atlantico le vigne distese sui colli del versante orientale. Clima, dunque, ma anche ricchezza e varietà del suolo, che passa dalle zone ricche di granito a quelle calcaree, per digradare fino alle piane alluvionali dove poi la vite si ferma. L’Alsazia è una delle poche regioni al mondo capaci di esprimere l’interazione tra suolo e vitigno.
Nell’immaginario dell’appassionato di vino lo “stile alsaziano” è divenuto sinonimo per identificare vini dolci. Probabilmente nel recente passato è stato vero, ma oggi non è più così. Da una ventina d’anni, si è formata una generazione di vignaioli che cerca di produrre vini più secchi, più tesi e precisi, come quelli realizzati dai migliori Vigneron tedeschi. Per parafrasare Steinbeck questa generazione più giovane è la “freccia”, la più vecchia è l’”arco” che le ha lasciato un mondo ancora incontaminato.
Il Re d’Alsazia, il Riesling, occupa circa un quarto della superficie del vigneto. Si esprime con molte sfaccettature, frequentemente dà luogo a vini nervosi e tesi, dotati di grande freschezza, e hanno l’eccezionale capacità di esprimere le sfumature del loro terroir.
Quelli prodotti da Matthieu Wassler, giovane “Freccia” e fedele erede di oltre sette generazioni di vignaioli, sono caratterizzati da notevole eleganza e concentrazione superlativa, capaci di regalare grandi emozioni in abbinamento con i cibi.
Ricchi si diventa, eleganti si nasce.

FREDERIC LEPRINCE – BOURGOGNE
Riproduci video
Secondo Cicerone “Coloro che eliminano dalla vita l’amicizia, eliminano il sole dal mondo”. E forse ancora più significativo “La legge del dono fatto da amico ad amico è che l’uno dimentichi presto di aver dato, e l’altro ricordi sempre di aver ricevuto” ci insegna Seneca.
Considerando che un grande vino nasce sempre da grandi uve e che avere viti in Borgogna è ormai quasi impossibile per chi non le ha ereditate, l’equazione è molto complessa per chi vuole produrre vini di là. Ma non impossibile da risolvere quando si è in grado di costruire rapporti di fiducia e amicizia con altri viticoltori che sono pronti a venderti abbastanza da elaborare qualche pezzo ogni anno.
Ti prestano, il tempo di un’annata o più perché sono fedeli, alcuni tasselli o simil-giornate, delle loro viti, detti “ouvrées” in gergo locale (430 mq circa per unità) che alla fine dei conti si ricompongono nel bicchiere sprigionando calore, ombra, seta, velluto, tannino, aria, profumo di Borgogna.
Sta a Frédéric Leprince, astro nascente della vinificazione in Borgogna, poi, fare del suo meglio per onorarli e ricordare sempre di aver ricevuto questo dono.

Le piace farsi chiamare un self-made man che fa dei self-made wines, dei vini che si fanno da soli. Nelle sue vinificazioni così come nei suoi affinamenti, piace soprattutto la semplicità. Umiltà di fronte alla materia prima, l’uva. Un certo senso di rispetto, alla vecchia maniera.
Nessun contributo tecnico e ancor meno tecnologico se non serve a portare un po’ di comodità e una migliore qualità finale.
Gesti giusti, precisi e poco intervento per far parlare i “terroir”, perché hanno tanto da raccontarci.
Con la presentazione di questi due vini, espressione fondamentale dei “Villages de Bourgogne”, iniziamo il nostro viaggio insieme a Frédéric Leprince.
Lo ritroveremo presto con i suoi Cru più pregiati di Pommard, Savigny les Beaune, Chassagne-Montrachet, Meursault, Gevrey-Chambertin et Vosne Romanée.
Frédéric ha già conquistato gli Chef più stellati in Francia e s’incontra da poco in tutte le istituzioni della grande gastronomia francese.
Siamo lusingati di essere gli unici a potervi offrire i suoi grandissimi vini, in esclusiva.

DOMAINE LUYTON-FLEURY – SAINT-JOSEPH AOP, vallee du rhône
Ogni capitolo del libro “Confesso che ho bevuto”, a cura di Luigi Anania e Silverio Novelli, propone una doppia chiave di lettura, cogliendo possibili alternative o abbinamenti all’interno del singolo approccio al tema-vino. Il vino “piacere o conoscenza”, il vino come “amore o abbandono”, il vino come “dignità o perdizione”. C’è chi rivive il vino come giovinezza e spontaneità, in contrasto con la moda odierna che ne fa un affare per specialisti. Sacerdoti dai riti iniziatici celebrati con terminologia astrusa. Infine, c’è chi, scegliendo la carta dell’intimismo, inscena una favola che unisce metaforicamente scrittura e vino.
Il Saint-Joseph raccoglie da solo questi racconti sul vino e sul piacere del bere, su una gloria nazionale che è anche e soprattutto discorso sulla natura, la storia, i sentimenti, la fede. Qui il vino è arrivato con i greci sbarcati sugli approdi dell’attuale Marsiglia, ma poi sono stati i romani a svilupparvi la viticoltura, ed infine sono stati i gesuiti a dare il nome attuale ai suoi vini dalla denominazione di una ripida collina scolpita in terrazze di loro proprietà. Originariamente conosciuto come “Vin de Mauves”, dal nome di un vicino paese, era apprezzato già da Carlo Magno, Imperatore enologo e vignaiolo. È stato un vino favorito nella corte francese di Luigi XII (1498–1515) che ha posseduto una vigna in Saint-Joseph. È stato citato ne “Les Misérables” di Victor Hugo (“mio fratello gli servì un elegante vino di Mauves che lui non aveva mai bevuto perché molto caro”). L’appellazione è anche chiamata da una vigna ispirata da quel santo “Joseph”, non a caso posseduta da Gesuiti. I cugini Pascal Luyton et Raphaël Fleury, dell’omonimo Domaine, tutti e due vivaisti, su appena 1.5 ettaro di vigneto, ci offrono le possibili alternative all’interno del tema dei grandi vini.
château constantin AOC LUberon, vallee du rhône
Lourmarin, Il Lubéron, contemplazione nel profondo del paesaggio. Cosa sarebbero i quadri di Cezanne, di Van Gogh, Matisse o Klee, senza il loro paesaggio? È lui, il paesaggio, a determinare gli usi e i costumi dei personaggi. È lui a offrire possibilità e impossibilità alla vita, a rendere visibile ogni azione. Il paesaggio spesso è il vero protagonista dei romanzi, da Zola a Flaubert, da Pavese a Joyce.
Angolo di Provenza dove si dice che l’aria è la più pura d’Europa, il Lubéron affascina per l’alternanza dei pendii scoscesi delle montagne, le terre rosse dalle calde tonalità, i profumati campi di lavanda che si perdono all’orizzonte, le distese di erbe aromatiche, i castelli e i villaggi arroccati. Un paesaggio che rimane impresso per i suoi colori, sapori, profumi ed essenze che cambiano a seconda della stagione. Un paesaggio di contemplazione. Una contemplazione avvitata nel paesaggio che non cede al fascino estetizzante. Se si diventa ciò che si contempla, allora si può dire che i vini del Lubéron regalano esattamente questa esperienza sensoriale. Affascinanti e contemplativi. Il Château de Constantin, della famiglia Bagnis, si trova a Lourmarin, un villaggio tra i più belli di Francia. Madre, Padre e le loro due figlie dal 2016 s’impegnano a produrre dei vini così. Nel rispetto più totale di questo paesaggio, che diventa un ecosistema. Seguono una filosofia vinicola molto nobile. Produrre vini equilibrati, non perfetti. Perché è una perfezione mantenere l’equilibrio. Oscar Wilde in uno dei suoi numerosi aforismi provocava dicendo che la natura imita ciò che l’opera d’arte le propone: “Avete notato come, da qualche tempo, la natura si è messa a somigliare ai paesaggi di Corot?”
château de Juliénas AOC Juliénas, Fleurie

Nel 1395, Filippo II di Borgogna detto l’Ardito o il Temerario mise fuori legge la coltivazione nella Borgogna settentrionale dell’uva Gamay per favorire il più pregiato Pinot Nero e accennare a un primo esempio di regolamentazione agricola legata alla qualità del vino.

Una decisione che oltre ad avere tracciato il nobile destino dei vini rossi di Borgogna, ha anche definito la nascita di un altro Terroir di eccezione, il Beaujolais.

Pochi vitigni e poche regioni al mondo infatti sono così interdipendenti fra loro, con un legame esclusivo che rende i vini di quest’area riconoscibilissimi, fruttati, minerali, freschi e degni di invecchiamento.

Non tutto il territorio è consacrato al vino, ma solo la sua porzione più orientale, la Côte Beaujolaise. Posizionata sui dipartimenti del Rhône e della Saône-et-Loire, questa regione costituisce, dunque, il prolungamento meridionale della Borgogna viticola. Una striscia di territorio tra Macon e Lione di circa 50km, larga meno di 12km.

La zona dei dieci cru del Beaujolais, lei è situata all’estremo nord della regione, proprio a due passi da Macon, dove il terreno è formato da un misto di granito blu e scisti, una complessità di elementi talmente poco fertili che rendono difficile la vita al Pinot Noir, ma che fanno eccellere il Gamay e offre una quantità di vecchie vigne di gran lunga superiore alla media nazionale.

Territorio di grande fascino paesaggistico, il Beaujolais è più sudista di quanto la sua latitudine non dica, con il calore di una vera comunità meridionale. Il Beaujolais invita al viaggio.

Il Beaujolais ha qualcosa d’Italiano, ricorda il Monferrato, ma è più solare; le sue colline profilano una Toscana meno elegante; rammenta alcuni angoli di Puglia, ma è più verde. Allo stesso tempo ha un profilo nordico, ma di un Nord che non incute timore. I venti non sono mai glaciali, i cieli non sono grigi, le piogge non diluviali.

Thierry Condemine titolare del Château de Juliénas, con tanta umiltà, ci offre un “avant goût” di questo viaggio.

Dal suo straordinario castello del Cinquecento, possiamo degustare due dei più grandi Cru del Beaujolais.

Il Juliénas, famoso per il suo granito blu, che offre vini di bella struttura e grande intensità.

Il Fleurie, l’eleganza fatta vino, floreale come il suo nome, fruttato, piacevolissimo.

Se siete spinti dalla curiosità, Thierry vi farà girare i suoi vitigni nel suo storico Van Volkswagen blu del 64 insieme al famoso Picnic di Juliénas

 CHÂTEAU HAUT-BERGERON – GRANDS VINS DE SAUTERNES ET GRAVES
Ci sono difetti necessari. La civetteria ne sembra uno. La civetteria come sopravvento dello spirito sui sensi. Xavier Forneret, scrittore francese dell’Ottocento famoso per il suo umorismo nero, si divertiva a giustificare certi scherzi del clima dichiarando che “La nebbia è la civetteria del sole”. La muffa, seppur nobile, è un altro difetto utile per la creazione di un vino moelleux, amabile, di colore giallo oro acceso, quasi torbido. Un vino tanto prezioso per la produzione sempre limitata.
Per certi la lentezza, come sensazione di perdita di tempo, rappresenta un ulteriore difetto. Ma nel caso della natura che deve aspettare la coincidenza dei fenomeni per generare le condizioni migliori alla produzione di uve ideali alla vinificazione, l’uomo è puro spettatore. Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, si viene a determinare una situazione climatica particolare, favorita dal Ciron, affluente freddo che, gettandosi nelle acque più tiepide della Garonne, predispone il formarsi di nebbie mattutine. Le spesse nebbie, intrappolate dalla fitta foresta di pini delle Lande, vanno a ricoprire i vigneti, permettendo alle spore della Botritys Cinerea di attivarsi nel fenomeno della muffa nobile. Qui la rugiada del mattino, baciando le uve, favorisce una diffusione del fungo limitata, mirata, che esalta la componente zuccherina delle uve, rendendole così ideali per la creazione di un vino moelleux. I viticultori sono lì, girandosi i pollici, aspettando non che il frutto maturi ma che quando è ben maturo si manifesti quella muffa nobile a finire il lavoro in vigna. Un compito destinato alla natura. È il momento di raccogliere un frutto brutto da vedere e non uniforme. Nel medesimo autunno possono passare anche settimane da una raccolta e l’altra. Ci vuole pazienza. Non si sta perdendo tempo, si sta aspettando! Questa è la civetteria della famiglia Lamothe, proprietaria di Chateau Haut-Bergeron, la pazienza e il talento di produrre vini eccezionali moelleux ma anche secchi, in un miracolo della natura.
Domaine du clos du roc – loire
Lungo il fiume Reale, s’incrociano meraviglie che ci consentono un viaggio nella storia della Francia. Dalle abbazie del più remoto medioevo, ai sempre visibili strascichi della Guerra dei cent’anni. Dagli oltre 300 castelli, ai paesaggi e i suoi principali monumenti culturali, che illustrano a un livello eccezionale gli ideali del Rinascimento e dell’età dei lumi del pensiero e dell’ingegno europeo.
La Valle della Loira è un luogo di importante bellezza, ma anche un territorio vinicolo di primaria importanza. Nella sua parte orientale, poco a sud di Orléans, si trovano le aree di produzione di Menetou-Salon, Sancerre e Pouilly-Fumé. L’uva regina dei vigneti di questa regione è il Sauvignon Blanc con cui si producono fra i migliori vini del mondo. I vini da Sauvignon Blanc di quest’area esprimono caratteristiche organolettiche uniche, con aromi di pietra focaia, vegetali e perfino affumicati, una qualità che ha determinato il nome con cui spesso si conosce il Sauvignon Blanc in queste terre: Blanc Fumé. Creato dall’ abbazia di Saint-Satur, il Clos du Roc, 4 ettari di terreni di Silex, è considerato la culla del Sancerre. La famiglia Mollet, oggi proprietaria, offre vini ricchi delle espressioni più caratteristiche del Sauvignon Blanc, lungo il fiume Reale.
Thierry MASSIN – AOC CHAMPAGNE – CÔTE DES BAR
“L’alba ha una sua misteriosa grandezza che si compone d’un residuo di sogno e d’un principio di pensiero” ha scritto Victor Hugo cogliendo il mistero del momento più effimero della nostra giornata: quello del risveglio.

Il tramonto si dona a tutti, insolente e prorompente. Mentre l’alba è per pochi e sopraggiunge in punta di piedi.
Lo stupore infantile che si avverte nell’aprire gli occhi e scoprire che il mondo è ancora esattamente dove lo avevamo lasciato la sera precedente, è la prova di essere di nuovo vivi, capaci di pensare, sentire, desiderare, ricordare, e tornare a sognare.
Lo Champagne della Côte des Bar, nell’Aube (in italiano l’alba), ha la stessa composizione. Rimanda al biancore dell’aurora e strappa un sorriso di tenerezza.
Questo Champagne ha modi più delicati, armoniosi, adolescenziali di quello della Marna il più delle volte incisivo, tenace nell’acidità e nell’impeto salino.

La famiglia di Thierry Massin, Recoltant – Manipulant à Ville sur Arce nella Côte des bar realizza Champagne così. Eleganti, di sottilissimo perlage, di spiccata personalità, versatili e deliziosi, portando in dote molte qualità dei bianchi e dei rossi della Borgogna settentrionale, con cui condividono la geologia dei terreni.

CHÂTEAU DE L’ENGARRAN – AOC LANGUEDOC
Che rapporto hai con la follia?
Ti fa paura?
O pensi che renda più interessante le persone?

Pazzia, demenza, insania, dissennatezza, squilibrio, trovano una sintesi tangenziale in stravaganza e temerarietà.
I folli sono geniali e il genio va con la sregolatezza, questo è quello che si dice.
Tu che ne pensi?
Ogni forma ha il suo incidente, il suo grammo di follia, il suo margine d’errore.
In fondo follia e bellezza sembrano scaturire dalla stessa zona opaca del reale che ha a che vedere con il mistero e la risata.
Lo sapevano bene i nobili di toga e i borghesi della Montpellier del Settecento che avevano costruito dei luoghi di follia predeterminati dove l’essere umano potesse incontrare liberamente il suo errore e il suo incidente. Queste ville si chiamavano Follie a causa della libertà di modi e di esperienze, che caratterizzava la condotta di tutti gli ospiti. Si facevano follie oltre misura, eccessi, esagerazioni e strappi alle regole.
Come ti ci saresti trovato tu?
Pensa invece che è da un calibraggio maniacale di regole, dosaggio e percentuali, da una pazienza monacale e un rapporto pluricentenario con l’attesa del tempo giusto, che si fa il vino ” folle”, proprio del cuore di queste ville.
Il Chateau de l’Engarran è una di queste 18 “Folies” de Montpellier.
Da tre generazioni viene gestito da donne, che estraggono da questo territorio arido, di pietra arenaria e ciottoli grandi e rotondi, le “galets roulés”, dei vini di una concentrazione e personalità eccezionale.
La vicinanza del mare, il soleggiamento quasi continuo, e i vitigni di espressione locale quali Grenache, Syrah, Mourvèdre et Cinsault, regalano vini rossi e rosé che difficilmente s’incontrano in altre parti del mondo.

Dei vini un po’ folli, che hanno buttato via la maschera della ragione.

CHÂTEAU PEYRAT – BORDEAUX AOC GRAVES
MONTESQUIEU, grande filosofo Bordolese del Settecento nonché autore di “Lo spirito delle leggi”, amava ricordare “C’è un detto molto bello secondo il quale, se i triangoli inventassero un dio, lo farebbero con tre lati”.

Tra i vitigni che hanno fatto la fortuna di Bordeaux 3 sono rossi gli autoctoni Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc e 3 sono bianchi quali Sauvignon Blanc, Sémillon e Muscadelle.
Uno dei simboli della ricchezza legata dai vini a Bordeaux è rappresentato dal Triangolo d’Oro nel centro della città che esibisce i segni esteriori del prestigio acquisito negli ultimi due secoli.
Sembra che tanto giri intorno a questo numero 3 a Bordeaux.
Non per caso vi presentiamo Aurelien, Ludovic e Damien, 2 fratelli e un amico che in 3 hanno saputo convincere 27 appassionati di vini per risollevare il Chateau Peyrat vera chicca e unico Cru dei Graves (che significa ghiaiosi) con terreno quasi esclusivamente calcareo che conferisce ai vini mineralità, finezza e sottigliezza.
Una tenuta di 17 ettari a pochi chilometri dalla nobile Sauternes regina indiscussa dei vini bianchi dolci botritizzati.
Per completare il loro progetto i 3 amici hanno da 3 anni ottenuto la concessione per la gestione di Chateau Méjean, altra pepita d’oro del Cru dei Graves confinante con la prestigiosa denominazione Pessac-Leognan. Una situazione eccezionale di soli 7 ettari che consente di produrre un vino di altissimo livello caratteristico della potenza raggiunta grazie a questi terreni ghiaiosi dal Merlot e dal Cabernet Sauvignon. Grande vino da selezione prodotto in un contesto al massimo della modernità e della sostenibilità.
E quindi vi presentiamo 3 vini massima espressione del lavoro di questi 3 amici.

Antoine emmanuel – borgogna aoc marsannay
Cos’è che fa aumentare il valore di una stampa artistica ? Quando si tratta di pezzi unici il valore è insito nella loro singolarità. Nel caso delle stampe bisogna capire che non si tratta di mere riproduzioni. Ma di opere con dettagli particolari a sé stanti decisi dall’autore.

Una buona edizione di stampe ha al massimo una tiratura di 100 copie, che saranno tutte, in minimi dettagli, uniche. La filosofia di Antoine Emmanuel rispetto al vino è la stessa di quella di un poeta: cerca il gesto perfetto e unico nella sintesi, convinto che le cose belle siano rare. Lavora il suo vino come se fosse una stampa artistica con una tiratura esclusiva o una poesia con una calibratissima scelta di parole. Mette direttamente mano a ogni bottiglia perché ne produce solo 1100 (550 bianchi e 550 rossi) quando la produzione media di Marsannay gira sulle 15000 bottiglie l’anno per ogni ettaro coltivato. Antoine Emmanuel passa le sue giornate fra cantine centenarie, chiese romaniche e antichi castelli e dopo anni di studi, è riuscito a creare un vino unico per gusto e volumi. Noi lo abbiamo scoperto e lui ha deciso di offrirci in esclusiva ad ogni vendemmia, un piccolissimo quantitativo di 300 bottiglie da condividere con voi. La poesia di questo vino accade in Borgogna, terra dei vigneti più longevi, variegati e pregiati, con oltre 2000 anni di storia e che vanta il maggior numero di siti Patrimonio dell’Unesco, la Basilica di Vézelay con la Collina Eterna, tappa del Cammino di Santiago alla Cappella di Ronchamp, capolavoro di Le Corbusier, solo per citarne alcune. Considerata la porta di accesso alla Côte de Nuits, zona settentrionale, la denominazione Marsannay, che gode oggi di un grande riconoscimento da parte della critica, offre vini che hanno un carattere davvero unico nell’espressione del frutto. Solitamente i rossi hanno un colore più pronunciato della norma in Borgogna e si caratterizzano per i toni fruttati decisi e per un corpo generalmente abbastanza generoso.

Domaine Du Terme – GIGONDAS COTES DU RHONE
Se ti sentissi che hai bisogno di respirare bene, meglio, tanto, dove andresti? Al mare? Oppure puoi andare al Monte del Vento – Dentelles de Montmirail – in Francia al sud, dove l’aria ti rigira da tutte le parti e ti fa sentire che sei più vivo, proprio perché la respiri.

Rotolando giù dal monte scopriresti un posto che si chiama Felicità – Jucunditas – Gigondas. E un paese. Felicità e vento ti riportano al mare, forse sei in barca? No, sei nella valle del Rodano meridionale a casa di Anne-Marie Gaudin Riché, Domaine du Terme, che ci ha messo quattro generazioni per regalarti il suo Gigondas. Un vino dominato dal Grenache, corposo, fruttato, tannico, conosciuto in Italia con il nome di Cannonau. Il Gigondas è un vino che è una folata di aromi d’estate. I Gigondas, insieme agli Châteauneuf-du-Pape, sono senza dubbio i più importanti vini del Sud del Rodano e tra i migliori al mondo a base di Grenache. Grazie a una viticoltura rispettosa dell’ambiente, Anne-Marie e suo figlio Henry riescono a gestire le difficoltà presentate da ogni annata proponendo vini di un equilibrio esemplare e di una ricchezza ben dosata.

Domaine Yannick Cadiou Chablis
Yannick Cadiou, vignaiolo a Chablis, nasce in una famiglia contadina della Loira che produceva vini fatti “come una volta”.

Pochissime quantità ma ricche e profumate. Dopo un diploma in enologia e agronomia, e oltre 27 anni di esperienza nella produzione di uva di altissima qualità per una cantina rinomata di Chablis, Yannick nel 2018 crea il SUO primo vino. Piccolissima tenuta vinicola di 2 ettari, Yannick produce solo 3 vini tutti Biologici. E uno Chablis da SARTORIA. Fruttato, concentrato, un espressione precisissima dello Chardonnay, all’altezza dei più prestigiosi Grands Crus. Senza nessun dubbio uno dei più eleganti Chablis della zona.